Si tratta della celebra pala del Domenichino eseguita per la cappella Porfiri intorno all’anno santo 1625 e poi gravemente danneggiata da restauri impropri nel corso del Seicento cui Raffaello Vanni, prima, e Giuseppe Ghezzi, poi, cercarono di portare rimedio, senza risultati apprezzabili. Opera di altissima dignità formale, improntata a una concezione della pala d’altare memore ancora di spririto rinascimentale, ha la sobrietà e la compostezza tipiche del Domenichino, ancora oggi rilevabili sia pur nella relativa rovina della superficie pittorica di cui un restauro di circa venti anni fa ha potuto certamente arrestare i danni senza, tuttavia, riportare la pala alla sua integrità purtroppo irrimediabilmente perduta. Di straordinaria bellezza è poi l’atrare in cui l’opera è collocata, che conserva i mirabili telamoni in stucco dello scultore spagnolo Andrea Sarrazin, seguace di Domenichino, tra i più grandi specialisti in questo genere di arte e attivi a Roma in quel tempo.