Saladino d’Ascoli nella 7 Particola del suo “Compendium Aromatariorum” chiede al suo ipotetico speziale interlocutore: “Quali sono i vasi convenienti per conservare bene le medicine?” gli risponde lo speziale: “Quelli che possono custodirne le virtù. Le confezioni, conserve, gli elettuari vanno p0-sti in vasi di vetro, ovvero ben verniciati; le acque stillate, le teriaca in vasi di stagno o stagnati, gli oppiati in pelle unta d’oglio di noce moscata o di garofoli, gli sciroppi in vasi di terra verniciati”. Anche se si fa risalire intorno al Mule la cornparsa e l’uso delle maioliche di farmacia è solo verso Ia fine del 300 che ai primi semplicissimi vasi definiti genericamente vasi di Orvieto, subentrano i vasi di maiolica.
Nelle speziere medievali accanto ai vasi di ceramica venivano usualmente adoperati anche recipienti di ferro, di stagno e di piombo. Anche il vetro fu presente, ma era destinato prevalentemente a contenere materie prime e come giustamente sostiene Pesce mal si prestava alle iscrizioni ed alle decorazioni per cui fu sostituito dalla ceramica meno fragile e più decorativa. C’è da rilevare comunque che a partire dal XIII secolo i vasi in ceramica sostituiscono completamente i recipienti fabbricati con altro materiale, fatta eccezione per le scatole di legno destinate a contenere i medicamenti semplici.Primo ad affermarsi è senza dubbio un tipo di vaso che la tradizione alto medievale ritiene fabbricato da ceramisti italiani ed europei su ispirazione dell’imballaggio in canna di bambù con il quale giungevano in Europa i medicamenti dall’oriente. Questa, secondo alcuni autori, sarebbe l’origine dell’Albarello tipico rappresentante del vaso di farmacia divenuto successivamente vaso di comune uso domestico. Ogni forma farmaceutica era custodita in una vaso adatto, appositamente ideato e costruito per tali esigenze rispettando esperienze ormai millenarie. Inutile sottolineare che ciascun gruppo di farmaci esigeva una forma tradizionale di recipiente suggerita dalla pratica e rispondente per capacità e maneggevolezza alle quotidiane esigenze dello speziale: esigenze legate alla tradizione Galeno araba prima e successivamente, a partire dal XVI secolo alle droghe provenienti dal nuovo mondo.
La vita, lo splendore ed il tramonto del vaso di farmacia resta pertanto legato al tipo di farmaco manipolato e conservato dallo speziale nella sua officina. Finché gli schemi classici della tecnica farmaceutica rimasero legati alla celebre particola di Saladino d’Ascoli: “Terere, Abluere, Infundere, Coquere, Destillare, Bene Conficere et Confecta bene servare” la produzione dei vasi di farmacia rimase legata alle forma obbligate senza possibilità di deroga.
E’ dall’oriente che giungono le più importanti droghe destinate al mercato italiano; con esse i primi contenitori: gli albarelli il cui nome dovrebbe essere una alterazione della voce araba “Ala barani” cioè vaso per droga.
Con Ia conquista di tutto il bacino del mediterraneo, la medicina araba raggiunse il massimo del suo splendore, specialmente in Spagna dove nacquero grandi scuole di medicina a Siviglia, a Granada e Salamanca. Anche le officine di ceramica proliferarono in maniera notevole concentrandosi prevalentemente nei porti ed in un’isola delle baleari, Maiorca che trasmise un nome rimasto famosa nella ceramica di far-macia: la Maiolica. Con questo nome si identificavano tutti i vasi ricoperti di vernice stannifera opaca. Va sottolineato quindi il ruolo della Spagna moresca nella diffusione di un’antichissima tecnica giunta dal mondo Islamico.
Il livello artistico della ceramica italiana inizialmente era piuttosto modesto e non certo da paragonare a quanto veniva importato dalla Spagna e dall’oriente. Con l’applicazione dello smalto stannifero a base di ossido di stagno, si ottengono due risultati di grande rilievo: si attua una decorazione al vaso con i risultati artistici a volte notevoli e nello stesso tempo lo smalto, aderendo perfettamente alle pareti di terracotta ne assicura una totale impermeabilità, elemento fondamentale per la buona conservazione delle droghe e dei medicamenti composti.
In Italia ben presto divennero famose per la produzione di maioliche le città di Pesaro, Urbino, Casteldurante, Deruta, Siena e Faenza. I vasi entrarono trionfalmente in farmacia tanto da divenire in breve tempo il simbolo ufficiale ed il prestigio dell’Arte.
Naturalmente con il tempo a seconda del tipo di preparazione farmaceutica da conservare nacquero vane forme di vasi usati per esigenze vane; così ad es. per i medicamenti liquidi venivano usati vasi a forma di boccia, orcio o idria, per le forme farmaceutiche più dense e vischiose gli albarelli. In un primo tempo questi vasi fabbricati in Italia subirono fatalmente l’influenza dei motivi ispano moreschi, successivarnente ogni fabbrica si distinse e si etichettò con raffigurazioni sempre più personali costituite prevalentemente da soggetti umani, animali e paesaggi. Verso la fine del 400 nonostante la persistente presenza di influenze orientali, appaiono elementi nuovi e la tecnica di produzione dei ceramisti italiani migliora notevolmente. Si distinguono in questa gara verso il bello ed il sempre più perfetto le officine toscane e faentine a tal punto che dire Faenza significa dire vaso di farmacia. Faenza infatti per tutto il XVI secolo si distinse dalle altre fabbriche per l’accuratezza delle rifiniture e lo splendore dei colomi. Quella che era l’originale ispirazione orientale scompare lentamente per dam posto alla creatività artistica di natura prettamente italiana.
stemmi nobiliari, scene di caccia, motivi mitologici, arabeschi, grifoni. Compaiono inoltre le scritte, in gotico per lo più, indicanti per esteso o abbreviato il medicamento contenuto nel vaso. Molti di questi vasi portano accanto alle scritte le insegne dei grandi ospedali di Firenze, di Roma, di Siena, di Milano, i quali commissionano alle fabbriche toscane, faentine ed umbre vasi di grandi dimensioni per le loro spezierie con decorazioni che a volte sono delle vere e proprie opere d’arte. Per tutto il 500 si continua a produrre vasi con le decorazioni sopra accennate; unica eccezione i cermaisti di Faenza che adottano il bianco come base di ogni decorazione con aggiunta di delicatissimi motivi ornamentali.
Come abbiamo detto qui più che altrove nasce e si sviluppa un tipo di ceramica squisitamente italiana che rappresenta il punto di incontro tra l’estetica orientate e l’arte greco-romana con l’aggiunta di elmenti naturalistici tratti dalla scultura e dall’architettura gotica.
Sin dalla fine del quattrocento Faenza inizia ad usare nelle decorazioni sottili viticci ed arabeschi tracciati in blu sullo smalto bianco della maiolica. ma il massimo splendore lo raggiunge solo agli inizi del 500 con lo stile istoriato cioè lo “stile bello” frutto tipicamente rinascimentale. primeggiano in questo periodo le fabbriche dei Bergantini e quella dei Pirotti. L’influenza dei maestri faentini presto divenne predominante nella maggior parte dei centri di produzione ceramica di tutta Italia.
I maestri ceramisti hanno il modo di sbizzarrirsi nelle decorazioni, riuscendo spesso a creare delle vere e proprie opere d’arte. Nel rinascimento l’identificazione della provenienza delta fabbrica era rilevabile soltanto dall’esame delle decorazioni ed a volte dalla data di fabbricazione; nel XVII secolo l’identificazione diviene più facile in quanto la consuetudine di dipingere paesaggi, immagini sacre, personaggi mitologici rende più facile il riconoscimento della provenienza.