Tutto questo m’era necessario dire, per illustrare meglio in quali difficili condizioni Ottone Colonna salisse al Pontificato, assumendo il nome di Martino V (Fig. 3), perché in quel giorno precisamente cadeva la festa di S. Martino. E’ superfluo accennare che la sua elezione fu la logica conseguenza della deposizione degli altri tre Papi. Questo illustre Pontefice, secondo che narrano le cronache, per alcuni era nato a Genazzano e per altri a Roma, e per altri ancora a San Vito Romano, terra non lungi da Palestrina, nel 1365, da Agapito Colonna.
11 mondo cristiano respirò per la sua elezione, perché lo sapeva amato dai propri concittadini per la sua integrità, per la sapienza, per l’affabilità e la modestia del carattere, congiunte queste doti a tale corredo di letterarie cognizioni, che non vi era dottrina in cui non fosse eccellente. Sopratutto aveva fatto mirabili progressi in quella del diritto canonico, che apprese nell’Università di Perugia.
Da Urbano VI era stato ascritto tra i referendari e i protonotari, e nominato amministratore di Palestrina. Bonifacio IX lo aveva fatto uditore di Rota e Nunzio Apostolico per l’Italia ed altrove. Compiuti con suo grande vantaggio e pari decoro della Santa Sede nuovi incarichi di fine diplomazia, fu da Innocenzo VII il 12 giugno 1405 creato Cardinale Diacono di S. Giorgio in Velabro. Vicario di Roma ed arciprete della Basilica Lateranense. In auge di tanti onori, anziché diminuire, andò crescendo in lui la liberalità, la piacevolezza e la benignità; onde a chiunque richiesto lo avesse, prestava di buon grado l’opera sua con tali gentili maniere e con tratti cosi obbliganti, che si cattivò l’affetto di tutti, tenendosi, per quanto poteva, lontano dai pubblici affari.
Si mantenne fedele a Gregorio XII finché non dovè recarsi al Concilio di Pisa, ove segui l’elezione di Alessandro V; come pure intervenne in Bologna a quella di Giovanni XXIII. Questi gli affidò 1 amministrazione della provincia del Patrimonio di San Pietro, del Ducato di Spoleto e delle città di Perugia, di Todi, di Orvieto, di Terni e di Amelia col titolo di Legalo Apostolico; nei quali uffici si condusse sempre con mirabile prudenza. Nel 1380 era stato fatto vescovo di Urbino e a 50 anni, nel vigore della salute, fu eletto nel Concilio di Costanza, alla somma carica di Pontefice con i voti concordi di (ulte le Nazioni (i i novembre 1417). Le funzioni che accompagnarono la sua elezione furono piene di fastigio e di pompa, e il suo ingresso in Roma il 28 settembre 1420, avvenne fra le acclamazioni di tutto un popolo che nel Colonnese, dopo la servitù di Avignone, riconosceva il suo duce. Questa data si può riguardare come il secondo Natale di Roma.
Uno dei suoi primi atti pronti ed energici fu l’emanazione delle regole della Cancelleria Apostolica, e le riforme del clero. Intanto il famigerato Giovanni XXIII, il deposto papa corsaro, promettendo incondizionata ubbidienza, implorò il perdono e Papa Colonna, uomo dalla politica saggia e dall’anima buona, lo accolse amorevolmente e lo creò cardinale vescovo di Frascati e decano del Sacro collegio.
Appena giunto a Roma, Papa Martino alloggiò nel monastero della Madonna del Popolo, donde il 30 dello stesso mese si trasferì, in mezzo alle acclamazioni del festeggiante popolo, al Vaticano, dove dimorò fino al 1427. A diversità degli altri Papi non scelse come sua dimora la sede a cui ora abbiamo accennato, ma dette incarico all’architetto Michetti di costruire sulle fondamenta del vecchio castello di famiglia un sontuoso palazzo, che ancora si ammira nell’interno dei cortili dell’attuale palazzo a Piazza SS. Apostoli, dove sono raccolti tesori d’arte quali pitture del Pussino, del Pomarancio, dell’Allegrini, del Botticelli, del Tiziano e di altri: fu questa la sua pontificia dimora .
La permanenza in Roma del Colonnese significò far rivivere a nuova vita l’Urbe, che da metropoli del più glorioso impero del mondo era divenuta un ammasso di rovine pagane con vie melmose ed erbose, e casupole di vassalli intorno ai turriti palazzi dei baroni, sempre in lizza tra loro. Cola di Rienzo aveva definito l’Urbe, a quel tempo, covo di ladroni, piuttosto che stanza di uomini civili, e in verità essa si trovava in condizioni inferiori a quelle di qualsiasi altra città della media Italia. Certo il pontificato di Martino V brilla per una vibrante attività ; egli seppe dare un felice assestamento ai dissidi che ricorrevano in quell’epoca turbinosa, malgrado che il Concilio di Siena non si riuscisse neppure ad aprire. Braccio da Montone, il capitano di ventura che Martino V per riavere Terni aveva favorito nominandolo vicario di Perugia e di altre città umbre, gli si era ribellato, ma contro di lui fu aiutato da Giovanna II, dallo Sforza, da Lodovico Colonna, da Luigi da S. Severino e da Nicolò da Tolentino. In una battaglia sanguinosa Braccio da Montone rimase ucciso, e le terre che erano in sua mano tornarono sotto il dominio della Chiesa.
Impossibile riprodurre in queste brevi pagine tutte le opere di guerra, politiche, artistiche e religiose compiute da questo attivissimo Pontefice negli ultimi sei o sette anni del suo pontificato. Egli restituì in Roma l’ordine sedando sommosse popolari e reprimendo il brigantaggio ; fece riattare le strade e restaurare le basiliche e le chiese parrocchiali e il Campidoglio; ma anche memorabile è l’opera da lui svolta nel mondo cristiano ; perché superò felicemente lotte contro scismi di persone e di Principi, che ogni tanto germinavano in Europa; e si può dire che spetta a lui il merito di aver chiuso il grave Scisma degli Hussiti e quello sorto in Aragona per opera di Clemente VIII antipapa. Il Pastor dice ch’egli fu il vero nuovo fondatore del dominio temporale. Ma un grande incoraggiamento sopratutto egli dette alle lettere e alle arti liberali, per cui, non a torto potè esser chiamato il Padre del Rinascimento italiano. Fu lui che chiamò a Roma, per le pitture, Gentile da Fabriano, il Pisanello e il Masaccio. Nel 1429 il Colonnese passò alcuni mesi in Ferentino, ospitato nella sede vescovile; nè furono mesi di ozio, perché in quel tempo nominò 14 cardinali e si dedicò all’assestamento di varie grandi contingenze.
Ma nel 1431, mentre con indefesso zelo si applicava a por termine agli ultimi dissidi religiosi che dilaniavano ancora la Boemia, colpito da apoplessia, morì in Roma fra il compianto dei suoi sudditi e di tutta la Cristianità. Fu sepolto in una superba tomba di bronzo nella cripta dell’altar maggiore della Basilica Lateranense (Fig. 5), di fronte alle teste dei santi Pietro e Paolo; l’epitaffio che vi è inciso è riprodotto dall’Aldoini ; e lo dice : ” Temporum suorum felicitas “. Nella zecca Pontificia esistono quattro medaglie di lui con la sua effigie ed iscrizioni alludenti alla sua elezione ed incoronazione, ai restauri delle basiliche di Roma ed alla costruzione del nuovo portico nella basilica Vaticana, nonché alla celebrazione del Giubileo.
Gentilmente favoriti da S. E. il Cav. di gr. cr. Camillo Serafini, Governatore della Città del Vaticano e numismatico di alta e riconosciuta competenza, abbiamo potuto arricchire questa memoria con la riproduzione delle medaglie di Martino V, esistenti nella Collezione del Gabinetto numismativo Vaticano, del quale S. E. Serafini è solerte e sapiente Direttore. Benché a queste medaglie non si possa attribuire un effettivo carattere storico-documentario, poiché, ad eccezione di una, che è di poco anteriore furono eseguite dopo oltre un secolo dalla morte di Martino V; tuttavia dobbiamo riconoscere ed esse un rilevante valore iconografico, in quanto la fisonomia di quel Pontefice era, nella seconda metà del sec. XVI, ancor viva nei ricordi storici del tempo. La medaglia, che abbiamo detto essere più antica, è quella con la figura di Roma sedente, circondata dalla leggenda: OPTIMO PONTIFICI ROMA. Essa è la più vicina al pontificato di Martino V (1417-1431), rimontando allo scorcio dello stesso secolo. Le altre quattro invece sono opera del Paladino, noto incisore della seconda metà del sec. XVI. Esse recano ciascuna nel ” recto ” l’identica effige del Pontefice ; mentre nel ” verso ” raffigurano :
Lo stemma dei Colonna, ornato delle insegne pontificali, ed intorno la scritta: MCDXVII. PONT. (ificatus) ANNO PRIMO . L’incoronazione di Martino V, con la leggenda QUEM CREANT ADORANT (Fig. 8). La Porta Santa, a ricordo del Giubileo indetto per il 1423, con la leggenda : IVSTI INTRABVNT PER EAM (Fig. 9). Un prospetto di tipo basilicale, circondato dalla leggenda DIRVTAS AC LABANTES VRBIS RESTAVRAV(it) ECCLES(ias), in memoria dei restauri da Martino V fatti eseguire a numerose Chiese di Roma. E’ anche notevole in questa medaglia la frase, posta sotto le colonne dei prospetto, alludenti al cognome del Pontefice: COLVMNAE HVIVS FIRMA PETRA (la pietra di questa colonna è ben salda) (Fig. 10). Non sarà inopportuno qui aggiungere, come le diverse serie esistenti di medaglie pontificie – taluna da S. Pietro ai giorni nostri, altre relative a periodo più limitato – siano, per una gran parte, di epoca tardiore a quella dei Pontefici cui si riferiscono. Difatti la prima medaglia contemporanea (rimasta poi per un certo tempo isolata) è quella eseguita sotto Eugenio IV, nel 1439, in occasione del Concilio di Firenze.
Soltanto con Nicolò V (1447-1455) cominciano ad apparire medaglie contemporanee ufficiali, relative però solo ad alcuni anni di pontificato: e queste, integrate posteriormente per taluni degli anni mancanti con medaglie così dette ” di restituzione “, costituiscono per un certo periodo il prodotto medaglistico pontificio. Si giunge poi, attraverso una coniazione sempre più frequente, all’uso della medaglia pontificia annuale; la qual consuetudine si è mantenuta sino ad oggi costante.